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By: aipfadmin Acceso: Gennaio 14, 2019 In: Stampa Comments: 0

L’articolo

A caccia di reti per fare vestiti

A Lipari ne è stata recuperata una enorme da acquacoltura abbandonata sul fondale, pericolosa per i pesci e inquinante. Obbiettivo: ripulire il mare e utilizzare la materia plastica per creare un filato. Perfetto per nuovi abiti

di Guido Fiorito

Le chiamano ghost fishing, sono reti fantasma, zombie del mare che continuano, dopo la loro fine, a imprigionare pesci, molluschi e mammiferi. In questa storia una rete di dimensioni record, una sorta di pachiderma abbandonato nel mare delle Eolie, è stata ripescata e trasformata in econyl, un filato di nylon brevettato di prima qualità, riciclabile in modo infinito, usato da aziende di tutto il mondo per realizzare costumi da bagno, vestiti, biancheria intima e pure tappeti.

Già. A Lipari, su barche e gommoni, si aggira una strana specie di pescatori: quelli che non prendono i pesci con le reti ma invece le reti le pescano. Proprio così: la preda è l’arnese per predare. Sembra un mondo rovesciato, un paradosso come l’immenso mare assediato dalla plastica e i pesci che non ci sono più. “Avevamo ricevuto – dice Ambra Messina, coordinatrice dell’Aeolian Islands Preservation Fund – tante segnalazioni di reti disperse. Allora abbiamo contattato Healty Seas per un intervento”.

L’obiettivo, appunto, era la gigantesca rete di acquacoltura del peso superiore a due tonnellate, dispersa da una tempesta che è stata recuperata con molta fatica. In parte insabbiata, in parte fluttuante nel mare. “The biggest net”, la rete più grande mai recuperata dall’associazione.

Healty Seas opera in tutto il mondo per il recupero delle reti in modo da riciclarle in fibre tessili. Si avvale degli esperti subacquei della Ghost Fishing Foundation, veri e propri acchiappa-reti fantasma. Ha tolto dal mare 375 tonnellate di reti in cinque anni. Con il coordinamento sul territorio dell’Eolian Islands Preservation Fund, sono stati coinvolti anche i sub Stefani Casale e Mirko Mola del Lipari Diving, e il Gorgonia diving center. E poi la barca della famiglia Puglisi, storici pescatori liparoti, e la Guardia costiera.

“La rete dell’acquacoltura – spiega Ambra Messina – si trovava da oltre dieci anni nel mare di fronte le cave di pomice, zona interessante per i subacquei che l’avevano più volte avvistata”.
La rete è stata liberata è sollevata in superficie con galleggianti che auto-gonfiabili.“Ma sollevarla sulla barca non è stato facile”, dice Giulia Bernardi, biologa e subacquea romana, che si è trasferita a Lipari per i progetti di protezione del mare e di pesca sostenibile della Blue Marine Foundation, un’altra associazione che ha partecipato all’iniziativa.

La rete è stata agganciata all’argano del peschereccio ma per sollevarla è stato necessario anche lo sforzo fisico di tutti i sub che la spingevano in alto dal mare. Poi è stata recuperata e riconsegnata una rete di un pescatore di Salina, che aveva imprigionato pesci, granchi e stelle marine. Alcuni esemplari ancora vivi sono stati liberati. “In molti anni – dice Ambra Messina – si sono accumulate tantissime reti in mare. Una piccola parte è stata recuperata e siamo in contatto con Healthy Seas perché possano tornare a continuare l’opera di pulizia”.

Ambra Messina è palermitana. Ha passato le estati nella casa di famiglia a Lipari, dove i genitori conducevano un diving. “Dopo aver lavorato a Roma nella comunicazione, sono riuscita tornare nel posto che ho amato fin da piccola”.

Le reti recuperate (in totale quattro tonnellate) sono state inviate in uno stabilimento in Lituania, dove sono state pulite con trattamenti speciali, che restituiscono purezza al nylon che è tornato in Italia all’Aquafil di Arco (Trento), una delle aziende che ha creato Healthy Seas. Questa società realizza con le reti recuperate e altri scarti l’econyl, il filato di nylon di prima qualità che è riciclabile in modo infinito.
Un rapporto dell’Unap e della Fao, organi delle Nazioni Unite per l’ambiente e l’alimentazione, ha calcolato che nei mari del mondo vi sono 640.000 tonnellate di reti abbandonate, il dieci per cento della plastica presente negli oceani, che intrappolano fino alla morte nel Mar Tirreno delfini, tartarughe marine, capodogli.

La maggior fonte di inquinamento da plastica ha il nome di Fad, sigla che sta per Fishing aggregated devices: “È un attrezzo da pesca – spiega Bernardi – costituito da una serie di bidoni di plastica che servono da galleggiante e un filo di polipropilene lungo anche due chilometri. Si chiama anche caponara perché è usato per catturare i caponi. Questi pesci sono viaggiatori, arrivano nei nostri mari in settembre per ripartire a dicembre. Nei Fad vengono messe delle foglie di palma a uno-due metri di profondità. I caponi amano riposare all’ombra e stanno sotto finché il pescatore non viene a prenderli con una rete”.

A metà ottobre, la nave “Sam Simon” di Sea Shepherd, associazione californiana che lotta contro l’illegalità in alto mare, sostenuta dall’Aeolian Islands Preservation Fund, è stata in missione nel Sud Tirreno con una nave più piccola dedicata alle Eolie. Sono stati sequestrati 52 Fad illegali e cento chilometri di spago di proliprolene, letali per le tartarughe Caretta Caretta durante le loro migrazioni. I Fad illegali, detti cannizzo, sono in mare centinaia e centinaia. Nelle Eolie se ne possono istallare legalmente al massimo venti e in aree stabilite.

Tra gli obiettivi del progetto di Blue Marine e dell’Eolian Fund, c’è quello di responsabilizzare i pescatori eoliani. “Non è facile – dice Giulia Bernardi – i controlli sono pochi e manca alle Eolie un’area marina protetta dove i pesci possano riprodursi.

Una volta la flotta lipariota era una delle più grandi d’Italia, oggi ci sono poco più di un centinaio di barche di piccoli pescatori. Il pesce scarseggia. Bisogna rispettare le regole, non lasciare reti in mare e quando non è possibile recuperarle segnalarle; rispettare le pause di pesca, la taglia minima delle prede. Una bella sfida ma è inutile fare articoli scientifici se non si riesce poi a trasmettere alla gente quello che si può fare per salvare il mare”.

Sulla stessa linea opera l’Eolian Fund: “I migliori ambientalisti – conclude Ambra Messina – sono i ragazzi delle scuole. In tre mesi hanno recuperato cinquantamila bottiglie in un compattatore di plastica che abbiamo istallato alla media di Lipari. In questo modo si produce una plastica più facile da riciclare e a minor costo”. I pescatori di Salina e Stromboli hanno sviluppato un codice di buona condotta e hanno ricevuto delle casse frigo isolanti per migliorare la qualità del pescato e ridurre l’uso del polistirene.

E il mese scorso si sono confrontati con una delegazione dei pescatori di Lyme Bay, in Inghilterra, dove la Blue Marine Foundation ha messo insieme pescatori e ambientalisti. Risultato: il prodotto ittico è aumentato in quantità e valore.